Il cuore più leggero di una piuma…

Uno scarabeo del cuore dedicato a qualcuno che oggi ho ricordato, e che, certamente, al cospetto della dea egizia Maat, avrebbe avuto il cuore più leggero di una piuma…

Scarabeo del cuore - Museo Egizio, Torino

Scarabeo del cuore – Museo Egizio, Torino

Secondo gli egizi, per poter permettere al defunto una rinascita completa nell’aldilà, era necessario che gli venisse restituito il cuore dopo il giudizio finale. Davanti al tribunale di Osiride il defunto dichiarava di non aver commesso gravi colpe o azioni malvagie e, per provarlo, il suo cuore veniva pesato su una bilancia e il suo peso confrontato con una piuma di struzzo (rappresentazione della dea Maat, simbolo della verità e della giustizia). Se il cuore fosse risultato più pesante della piuma, evidenziando così la colpevolezza, sarebbe stato divorato da Ammit (“la Divoratrice”)…
Un amuleto a forma di scarabeo, posto sulla mummia, serviva a impedire che il cuore testimoniasse contro il defunto.

pesatura del cuore dal Libro dei Morti di Hor

Scena della pesatura del cuore dal Libro dei Morti di Hor, papiro conservato al Museo Egizio di Torino


Cosa ti resta da spaccare?

disegno - io e MarcoQuesta mattina, mentre Bianca, Elisabetta e io siamo in riunione, apre la porta della stanza ed entra. “Bianca, ma chi va a prendere i bambini oggi?” Risposta interrogativa di Bianca, che guarda Simonetta, l’assistente educativa, sopraggiunta dietro di lui, per capire come mai questa domanda.

“Perché adesso la Simonetta deve andare a prendere i bambini… E allora, io intanto resto qui”. (sottinteso: con voi).

É così, Marco. 9 anni, occhi azzurri chiari e taglio corto un po’ birichino dei capelli castani, sparati in alto e rasati ai lati. Pronto a suggerire soluzioni, a gestire quel che non gli competerebbe, ma a lui pare normale. Io sorrido, ammiccando a Elisabetta. Gli voglio un bene, a Marco, immediato e spontaneo. Percepisco la sua voglia di essere, di fare, la sua impossibilità a stare fermo: mi sento investita da un’ondata di vitalità. Non puoi semplicemente dirgli di fare qualcosa: devi interloquire, chiedere, proporre una soluzione logica. Insegnare se serve. E, per lo più, non imporre. Marco ascolta attentamente e ribatte, propone. La mente aperta a considerare cose nuove, il guizzo di un’idea da realizzare che subito ti dice. Fin qui tutto bene: devi “stare sul pezzo”, sarà faticoso, ma bello.

A volte, però, Marco non ce la fa. E scatta un’ira improvvisa e quasi feroce, a volte violenta. Pianti, insulti e bestemmie, con il rifiuto di sottostare a quello che gli viene chiesto. Oppure un silenzio ostinato, corse per scappare a nascondersi mentre fa cadere tutto quello che gli capita a tiro. Lanci di oggetti a caso, calci, morsi, indistintamente a grandi e piccoli.

Marco sollecita tutte le tue risorse personali, prima che professionali. Emozioni che ti scuotono e interrogativi.

Richiedono risposte non casuali, ma logiche, rigorose e affettuose. Non serve imporre inutilmente, ma non va bene neppure ignorare i fatti gravi.

Mi capita di essere nei paraggi in queste situazioni. E nell’osservare come reagisce, mi chiedo che mostri si agitano dentro di lui. Come si deve sentire in questi momenti. Cosa chiede. Mi verrebbe l’istinto di andare da lui. Gli voglio ancora più bene, in quei momenti, me lo porterei a casa. E quando avesse finito di spaccare tutto, lo guarderei, io e lui da soli, per chiedergli “E ora? Dopo aver spaccato tutto, cosa ti resta da spaccare? Che si fa?” Non che abbia senso. Ma per essere con lui, non contro di lui.

So che professionisti attenti e preparati stanno valutando il suo caso. Non ē il mio mestiere capire di più su quel che viene deciso. Ma io spero semplicemente che non lo “certifichino”. Niente bollini. Niente alibi. Non è un malato da curare, da acquietare, ma una piccola persona da sostenere, nella sua battaglia con i mostri. Senza spegnere quella luce che gli vedo negli occhi quando ha una nuova idea, quando fa uno scherzo. Questo vorrei per Marco. A questo serve essere persone.

(ispirato da una storia vera – i nomi sono inventati)

Chi accompagna chi?

12 gennaio 2016

Il mio cagnolone sta morendo. Per quanto sia una dura realtà, non si può dire in altro modo. Un tumore gli divora i polmoni, ogni giorno un po’, ma lui non lo sa di certo. Col respiro appena più pesante, lui, che ha respirato sempre come una farfalla, scodinzola, saluta, e si addormenta ogni poco con piccole scosse.

Non ci sono drammi, non ci sono scene madri, non vedo dolore nei suoi occhi di cane buono e allegro. Non lo vedo soffrire, e spero dentro di me che sia così. Dei suoi 50 kg non è rimasto tanto: quando passo la mano sul dorso gli sento le scapole e conto le costole una ad una, sotto il suo pelo folto di Bernese. Socchiude gli occhi e si gira sul dorso alle mie carezze, beato.
Io penso che lui sta morendo, e lui invece sta semplicemente vivendo i suoi giorni, non la morte. Contento di quel che lo fa contento, stanco quando è stanco, a cercare coccole sotto il mio gomito, o solo addormentato ai miei piedi.
Quando sarà, non starà da qualche parte a guardarsi intorno, cercando qualcuno con gli occhi inquieti e un po’ spauriti, come quando, durante una passeggiata, mi nascondevo dietro un albero per farmi cercare se lui si allontanava troppo. Lui che, ogni volta che non vede il suo “branco”, gira per le stanze di casa finchè scopre dove sta. Spero di essere vicino a lui: quel momento, come nel resto della sua vita, spero che mi aspetterà.

Ne abbiamo fatte tante di cose insieme, Artù e io, in poco più di 8 anni. La strada insieme sembrava lunghissima. Penso che ho camminato a fianco a lui tante volte, e anche ora lo accompagno, come sempre.
O forse, questa volta, lui accompagna me.